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Quest'articolo è stato aggiornato dalla Dott.ssa Luisella Troyer il giorno: mercoledì 13 aprile, 2022
L’insufficienza venosa alle gambe è un problema estremamente comune: colpisce circa il 20% delle giovani donne tra i 20 e i 30 anni, e il 10% dei ragazzi della stessa età.
Dopo i 50 anni, le percentuali per il sesso femminile però salgono drasticamente, e si stima che oltre il 50% delle donne manifesti nel corso della seconda e terza parte della vita un’insufficienza venosa, di varia gravità.
Globalmente, circa il 30% delle donne italiane ne è affetta.
Numeri da capogiro, che fanno immediatamente capire l’importanza e la portata del problema.
La safenectomia è quell’intervento chirurgico che può risolvere il problema dell’insufficienza venosa, andando a rimuovere direttamente il ‘rubinetto principale’, la vena safena che, se danneggiata, può causare le cosiddette ‘vene varicose’ (varici), nonché tanti altri problemi agli arti inferiori.
Leggi questa pagina per saperne di più sulla safenectomia.
L’insufficienza venosa è quella particolare patologia a carico delle vene, che si manifesta come un cronico e degenerativo impoverimento dei tessuti dei vasi, che causa a sua volta un mancato ritorno della circolazione venosa degli arti periferici verso il cuore.
In generale quindi, si parla di ‘insufficienza venosa’ quando le vene degli arti, in particolare quelle delle gambe, non riescono più a ‘rimandare il sangue’ verso il cuore nei corretti parametri circolatori.
Si causa così un ‘ristagno’ del sangue venoso che, a sua volta, causa altri problemi direttamente collegati.
Gambe gonfie, particolarmente dolenti, sensazione di stanchezza e peso eccessivo, che aumenta drasticamente in caso di lunghi periodi in piedi; presenza e comparsa di vene estremamente dilatate, di colore solitamente bruno o violaceo, che si vedono bene sotto la pelle, causando un brutto inestetismo.
Questi sono i più comuni sintomi dell’insufficienza venosa degli arti inferiori con cui, in Italia, una donna su due dopo i 50 anni deve scontrarsi.
Le cause dell’insufficienza venosa sono molteplici: alcune sono di origine congenita, altre invece acquisite per cattive abitudini e cattivi stili di vita.
Nella maggioranza dei casi, i soggetti affetti da insufficienza venosa hanno, nella loro storia familiare, già altri casi di parenti od antenati con varici manifeste.
E questo perché, sebbene non sia possibile ereditare l’insufficienza venosa in sé, si eredita però la qualità dei tessuti dei vasi.
Si stima che ben l’80% dei pazienti, principalmente di sesso femminile, che presentano sintomi accertati dell’insufficienza venosa abbiano in famiglia almeno un altro caso di condizione similare, per linea verticale (mamma, nonna, papà, nonno, ecc.).
Questo rende dunque il fattore ereditario come la prima causa dell’insufficienza venosa, di cui abbiamo chiare e ormai ben precise documentazioni statistiche.
A questa primaria causa genetica possiamo poi associare i fattori esterni: gli stili di vita errati e le brutte abitudini alimentari.
Tra questi assumono particolare importanza:
La Vena Grande Safena è la colonna principale del circolo venoso superficiale umano.
Parte dall'arco venoso dorsale del piede e percorre tutta la gamba, sino alla giunzione con la vena femorale, grossomodo all'altezza dell'inguine.
Esternamente alla caviglia, origina un'altra vena, chiamata Vena Piccola Safena, di lunghezza più contenuta.
Molto probabilmente, il nome 'safena' prende origine dal greco σαφηνής (cioè 'visibile', 'chiaro', 'evidente'), che trova conferme anche dall'arabo el safin ('la visibile').
Questo perché la vena, benché molto lunga, può in molti casi essere osservata direttamente sottopelle, particolarmente evidente nella zona del malleolo interno.
Sì, il sistema venoso umano (e dei mammiferi in generale) è diviso essenzialmente in due tronchi: il sistema venoso profondo, invisibile all’esterno e ben nascosto dalle fasce muscolari, e il sistema venoso superficiale (o sottocutaneo).
I due sistemi sono poi messi in comunicazione tra di loro dalle vene cosiddette ‘perforanti’, che hanno appunto il compito di congiungere i due sistemi sopra citati.
Quindi, appreso ciò, si capisce subito che possono esistere due tipi di insufficienza venosa: l’insufficienza venosa profonda e l’insufficienza venosa superficiale.
Il più importante dei due sistemi venosi è quello profondo, per un semplice motivo: solo esso drena circa il 90% di tutti il sangue refluo delle gambe.
Ai fini della diagnosi dell’insufficienza venosa, e della sua correlata terapia, è dunque estremamente importante fare subito chiarezza sull’esatto tipo di insufficienza venosa di cui è affetto il paziente.
I sintomi dell’insufficienza venosa sono molto variabili a seconda della gravità della stessa, della sua estensione, della sua permanenza (è una patologia evolutiva e degenerativa, quindi peggiora con il tempo), dalle eventuali terapie svolte per contrastarla.
Generalmente, i principali sintomi sono:
Tutti questi sintomi, sebbene possano manifestarsi in qualsiasi periodo dell’anno, tendono ad accentuarsi nei periodi caldi estivi, poiché l’aumento di temperatura provoca il noto effetto della vasodilatazione.
La vena safena, che in realtà dovrebbe essere chiamata vena grande safena (per differenziarla dalla piccola safena, che è un vaso parallelo alla grande safena), è la più importante e la più lunga vena superficiale del corpo umano.
Ha il compito di far confluire il sangue refluo proveniente dal circolo superficiale per incanalarlo poi nel circolo venoso profondo.
Presente sia nella gamba destra che in quella sinistra (vaso ‘pari’, in gergo medico), origina dal piede, precisamente dall’arco venoso dorsale del piede, iniziando a convogliare il sangue dalla vena dorsale dell’alluce.
Da lì inizia a risalire la gamba, passando per il malleolo, percorrendo tutto il mediale della gamba sino al ginocchio, oltrepassandolo e dirigendosi verso la coscia, dove confluisce nella vena femorale comune più o meno all’altezza dell’inguine.
Datosi che è la ‘colonna’ principale che convoglia gran parte del sangue refluo proveniente dalle vene superficiali, la safena è la vena che, se malata, causa sovente un problema a catena a tutti gli altri vasi ad essa collegati.
Difatti, un’insufficienza venosa alla grande safena è la prima causa dello sviluppo delle varici superficiali, comunemente dette ‘vene varicose’.
Le varici, comunemente note come ‘vene varicose’, sono delle dilatazioni abnormi delle vene superficiali, causate dall’insufficienza venosa.
Con particolari condizioni, in primis genetiche, le vene superficiali tendono a modificarsi fisicamente, perdendo il loro lume originario e divenendo rigonfie, ritorte, dilatate e rilasciate.
Datosi che lo strato muscolare delle vene, a differenza delle arterie, non è ben sviluppato, la dilatazione tende a far ristagnare il sangue, che smette di fluire normalmente e rallenta il suo corso.
Lo strato muscolare attorno alle vene tenta di bilanciare il rigonfiamento con un’adeguata pressione sui vasi dilatati, ma spesso ciò non riesce e la vena quindi di estrude, divenendo ben visibile all’esterno.
Le ‘vene varicose’ quindi non sono altro che vene che, per predisposizione genetica e/o per stili di vita scorretti o fattori scatenanti (come la gravidanza) perdono la loro naturale forma diventando rigonfie e abnormi, esteticamente molto sgradevoli.
Sebbene funga da vera e propria 'colonna' per tutte le altre vene superficiali della gamba, la vena safena trasporta solo il 5% di tutto il sangue venoso degli arti inferiori.
Ciò vuol dire che, in caso di sua insufficienza, può essere tranquillamente rimossa, senza causare grosse complicanze alla circolazione venosa superficiale, che si riorganizzerà (nel tempo) tramite il restante sistema venoso superficiale.Sebbene non accada sempre, molto spesso un’insufficienza safenica è alla base dello sviluppo delle vene varicose.
Lo sfiancamento della vena safena, la degradazione della qualità dei suoi tessuti e delle sue valvole interne, può causare un’importante stasi venosa, con conseguente ristagno di sangue.
Le cause reali di questo lento ma costante logorio delle valvole safeniche non è ancora certa al 100%, ma è quasi assicurata l’ereditarietà genetica.
Altri fattori di rischio per l’insufficienza safenica sono il sesso (le femmine sono colpite in misura maggiore rispetto ai maschi, l’età, l’obesità, la stazione eretta troppo prolungata (per lavoro o per sport) e la mancanza di adeguato movimento giornaliero (corsa o camminata).
Ristagnando, il sangue venoso presente nella safena gonfia e deforma la vena, e crea un vero e proprio ‘ingorgo’ anche per le vene tributarie.
In molti casi, quest’ultime si deformano anch’esse, rigonfiandosi ed espandendosi sotto la cute, divenendo quindi ben visibili e sgradevoli allo sguardo.
Essendo la ‘colonna principale’ della circolazione venosa superficiale della gamba, la safena raccoglie il sangue di praticamente tutte le vene tributarie di tutto l’arto.
Questo vuol dire che, in caso di una sua insufficienza, tutta la gamba (piede compreso) può sviluppare varici.
La safenectomia è l’intervento chirurgico risolutivo, che risulta necessario per eliminare alla radice il problema dell’insufficienza venosa alla vena grande safena.
Nell’intervento la vena safena viene eliminata fisicamente, oppure ne viene causata una sclerosi (occlusione).
Il risultato non cambia in ogni caso: l’obiettivo è quello di eliminare alla radice il ristagno del sangue, quindi chiudere definitivamente il ‘rubinetto principale’ da cui attingono tutte le altre varici.
Vi sono varie tecniche per eseguire una safenectomia, dalle più antiche (ormai obsolete) a quelle moderne, molto meno invasive ed enormemente più tollerate.
Andiamole dunque a vedere.
Tecnica ablativa antica, ormai quasi mai più praticata per obsolescenza.
Veniva eseguita incidendo all’altezza della giunzione della vena grande safena con la vena femorale (in alcune varianti, partendo dal segmento popliteo), legando la safena ed inserendo una sonda endovascolare che, per pura forza traente, letteralmente ‘strappava’ tutta la vena, asportandola così del tutto (da cui il nome in inglese).
Era una tecnica abbastanza cruenta, dai molti effetti collaterali e tempi di convalescenza prolungati.
Le nuove tecniche chirurgiche ad energia, tipo laser e radiofrequenza, l’hanno quasi totalmente soppiantata.
Viene utilizzata ormai molto di rado, e solo quando non è proprio possibile procedere con gli interventi mini-invasivi.
Tecnica termoablativa diventata, assieme alla radiofrequenza, lo standard attuale per la safenectomia.
Nella safena viene introdotta una sottile fibra al laser che, arrivando sino alla congiunzione con la vena femorale, rilascia l’energia, determinando una sclerosi (chiusura) delle parenti del vaso.
Datosi che la sclerosi è provocata dal calore termico, viene quindi chiamata fototermosclerosi.
Essenzialmente, è un effetto cauterio, solo modernizzato e miniaturizzato.
Il calore rilasciato dal laser brucia e cauterizza i tessuti della safena, minimizzando quindi sanguinamenti ed ecchimosi (ormai evento raro).
È un intervento mini-invasivo di circa 20 minuti, effettuato con una blanda anestesia locale, rapido e privo di dolore post-operatorio.
Tecnica endovascolare molto simile a quella laser, solo che l’energia per sclerotizzare il lume della safena non è data dalla luce laser, ma da un microscopico manipolo che genera una grande quantità di calore per mezzo della radiofrequenza ad alta energia.
Anche in questo caso, come nella termoablazione laser, l'effetto cauterizzante rende minimi o totalmente nulli i disagi post-operatori.
I dati statistici dicono che, al momento, è la soluzione col più basso numero di recidive tra tutte le tecniche endovascolari.
Anche questo intervento è eseguito in anestesia locale, della durata di circa 20 minuti.
Nella vena safena viene iniettata una soluzione sclerosante in mousse (schiuma), in grado di rimanere più a lungo a contatto con le pareti dei vasi grandi.
La mousse viene iniettata con un catetere e sotto controllo ecografico, sino alla giunzione con la vena femorale o la vena poplitea.
L’intervento può essere eseguito ambulatorialmente, e dura circa 20-30 minuti.
Rispetto alle altre due tecniche ad energia, è la soluzione che, benché efficace, presenta statisticamente il più alto numero di recidive.
Nella vena safena viene iniettata, tramite catetere vascolare, una speciale colla a base di cianoacrilato, che ottura il lume del vaso.
È una tecnica recente, di derivazione anglosassone, non ancora approvata dalle Linee Guida del Ministero della Salute, ma già approvata dalla FDA (Food and Drug Administration) americana.
È efficace ma, come tutte le nuove tecniche, ha ancora dei margini di perfezionamento, e i risultati sul lungo periodo vanno ancora monitorati.
Per quanto un importante 'colonna' della circolazione superficiale, la vena grande safena trasporta solo il 5% di tutto il circolo venoso.
La sua rimozione, pertanto, è essenzialmente ininfluente sul circolo venoso superficiale: le vene superficiali confluiranno nel circolo venoso profondo attraverso le vene perforanti.
Si migliorerà però, e di molto, la circolazione venosa superficiale che, libera da ristagni, potrà ricominciare a fluire senza stasi.
La safenectomia è necessaria ogni qual volta si manifesti, ai danni della vena grande safena, un’insufficienza venosa di rilievo, che non può più essere risolta dai trattamenti conservativi.
L’insufficienza venosa è purtroppo una patologia cronica e degenerativa.
Ciò vuol dire che, specie se non si mettono in atto comportamenti idonei e terapie contenitive adatte, la malattia prosegue peggiorando senza sosta.
Sovente, i pazienti che si rivolgono allo specialista (Angiologo o Chirurgo Vascolare) lo fanno solo dopo che i sintomi sono diventati molto invalidanti, segno di un degrado di rilievo dei tessuti della safena (e delle valvole in particolare).
Queste condizioni necessitano dunque, quasi sempre, di un intervento di safenectomia, in quanto l’uso di calze elastiche e farmaci flebotropi ha dei limiti, e comunque non è risolutivo del problema a monte, cioè il non recuperabile degrado dei tessuti della vena safena.
L’esame per diagnosticare con certezza l’insufficienza venosa della vena grande safena è molto semplice, veloce e non invasivo.
Si basa sull’uso dell’EcoColorDoppler: un macchinario ecografico che, grazie al noto effetto Doppler, può studiare con estrema precisione i flussi venosi ed arteriosi del corpo umano, mostrandoli a schermo al Medico.
L’esame è svolto in pochi minuti, e non è assolutamente doloroso.
L’esito dell’esame, in tempo reale, indica al Medico se è necessario intervenire per rimuovere la vena safena ormai incontinente.
Le alternative all’intervento di rimozione o sclerosi della safena sono possibili solo negli stadi iniziali dell’insufficienza venosa.
Sono tecniche conservative che si basano sull’utilizzo di calze elastiche a compressione graduata e sull’assunzione di particolari farmaci flebotropi, in grado di migliorare (entro certi limiti) la circolazione venosa inferiore e ridurre il ristagno di sangue.
Benché di indubbia utilità, i trattamenti conservativi non sono curativi, ma servono solamente a rallentare il degrado tissutale della vena safena, e quindi agiscono solamente sulla sintomatologia dell’insufficienza venosa.
La patologia è degenerativa, e questo è bene ricordarlo sempre: ciò vuol dire che, anche se rallentata dall’uso delle calze elastiche, l’insufficienza venosa peggiora gradualmente, senza sosta.
Stadi avanzati di insufficienza safenica (purtroppo, i più comuni), con o senza presenza di varici evidenti superficiali, richiedono sempre la correzione chirurgica tramite safenectomia.
Assolutamente no.
Nessuna pomata, gel o preparazione topica spalmabile può intervenire sulle varici causate da insufficienza venosa, né possono alleviare i sintomi della stessa.
I medicamenti che si vendono d’uso comune, gel o pomate, hanno al massimo un effetto rinfrescante sulla pelle (dato dalla rapida evaporazione dell’acqua che contengono), ma sono totalmente inutili per l’insufficienza venosa.
L'insufficienza venosa alla safena è una patologia che, una volta innescata, è irreversibile.
E peggiorativa.
Presenza o meno di varici evidenti, complicazioni estetiche o meno, il vero rischio per il paziente è la possibilità che la situazione si complichi con
l'insorgenza di varicoflebiti, trombosi venose profonde, emorragie e, non bisogna escluderlo, anche il rischio di embolia polmonare.
Anche l'insorgenza di ulcere venose è da mettere in conto, specie nei casi di insufficienza venosa mai trattata neppure con tecniche conservative (le calze elastiche), a cui possono essere associati eczemi e dermatiti croniche.
Con le nuove tecniche ablative ad energia, i tempi di recupero sono estremamente ridotti.
Sia con il laser che con la radiofrequenza, il paziente è dimesso dopo circa due ore, e può autonomamente tornare a casa e alla vita di tutti i giorni, prestando solo attenzione a poche e semplice raccomandazioni.
Le cicatrici dell’intervento sono pressoché invisibili, poiché il tutto è effettuato in endoscopia con una sottilissima fibra.
Si può riprendere immediatamente il lavoro e le proprie attività quotidiane, esentandosi solo, per qualche settimana, dallo sport e dall’attività fisica.
Il paziente è chiamato al controllo dopo circa una settimana dall’intervento, e poi dopo circa tre mesi.
Dopodiché, basterà un controllo annuale di routine.
Qualsiasi intervento chirurgico comporta dei rischi, seppur minimi.
Attualmente, gli interventi di safenectomia con tecniche mini-invasive di termoablazione sono considerati di routine, con un rischio estremamente basso di complicazioni.
Se eseguito in una grande struttura da Chirurghi Vascolari esperti, le complicanze sia in fase d'intervento che post-intervento si riducono quasi a zero.
Assolutamente no.
Qualsiasi sia la tecnica scelta dal Chirurgo Vascolare (termoablazione laser o con radiofrequenza) l'intervento è totalmente indolore per il paziente.
Viene praticata una leggera anestesia locale per desensibilizzare la parte in cui deve essere inserita la fibra (peraltro, di piccolissimo diametro), per cui il paziente non avverte assolutamente nulla.
Anche dopo l'intervento non è previsto dolore: al massimo, un leggero indolenzimento dell'arto, che comunque si risolve spontaneamente in pochi giorni.
Ecchimosi e sanguinamenti sono possibili ma ormai rari e, comunque, di limitata entità, e regrediscono dopo qualche giorno.
La safenectomia è un intervento ormai di routine, che il Sistema Sanitario Nazionale comprende e consente.
Il suo costo commerciale da privato sarebbe abbastanza alto, ma se eseguito in una struttura pubblica o privata accreditata (in convenzione SSN) è irrisorio: il paziente paga solo il costo del ticket di prenotazione.
All'Istituto Clinico Città Studi, una delle eccellenze milanesi per l'angiologia e la flebologia, vengono praticati interventi di safenectomia in convensione SSN, sia in termoablazione laser che con radiofrequenza, senza costi aggiuntivi per il paziente.
Per prenotare un intervento di safenectomia, è necessario un esame EcoColorDoppler recente e l'indicazione all'intervento da parte di un Chirurgo Vascolare, con relativa prescrizione del Medico di base.
Datosi che è ormai un intervento veloce e relativamente facile per il Chirurgo esperto,
i tempi di attesa generalmente sono sostenibili, e si aggirano sui 2-3 mesi circa.
Lavoro come Chirurgo Vascolare all’Istituto Clinico Città Studi di Milano.
La mia equipe di colleghi Angiologi e Chirurghi Vascolari è specializzata nella safenectomia totalmente indolore, tramite tecnica termoablativa al laser o radiofrequenza.
Se necessario, potrai risolvere definitivamente la tua insufficienza venosa alla safena in meno di 20 minuti, senza alcun tipo di fastidio, e tornando alle tue attività giornaliere immediatamente.
Siamo specializzati anche nel trattare precedenti safenectomie mal riuscite, oppure riuscite parzialmente (ad esempio, con presenza di monconi).
Oltre 30 anni di esperienza medica e in Chirurgia Vascolare, un’equipe di alto livello e una struttura d’eccellenza, totalmente convenzionata col Sistema Sanitario Nazionale, sono a tua disposizione per risolvere definitivamente i tuoi problemi di varici, pesantezza e dolore alle gambe.
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